È passato un anno da quando tutti, chi più chi meno, abbiamo scoperto davvero lo smart working; certo, se ne è sempre parlato, ma in Italia le realtà in cui era realmente stato adottato un approccio smart al lavoro non erano numerose. A marzo 2020 tutte le aziende in cui è stato possibile hanno scelto lo smart working per continuare ad essere produttive senza mettere a rischio la salute dei propri collaboratori.
Per noi in Cezanne HR non è stato un passaggio difficile: siamo abituati da sempre a lavorare indifferentemente in ufficio o da remoto. L’approccio è sempre stato molto flessibile, io personalmente lavoravo uno, due giorni a settimana da casa, o secondo necessità: hai il raffreddore? Lavora da casa. Devono venire a farti il controllo della caldaia? Non prendere permessi, lavora da casa. C’è la neve e venire in ufficio richiederebbe molto tempo? Non sprecarlo e lavora da casa.
Un nostro collega, dopo aver lavorato alcuni anni qui in sede, ha scelto di rientrare nella sua regione di origine, e lavora full-time da lì, venendoci a trovare circa una volta al mese per le riunioni più importanti.
Ecco perché quando è arrivato il Covid-19 e lo smart working è diventato reale per tutti, non ci ha trovati impreparati; ognuno era già dotato del proprio pc portatile, tutti i documenti ed i file necessari sono da sempre archiviati in uno spazio online sicuro accessibile da qualunque location, tutti i sistemi per le riunioni da remoto erano già installati e rodati. Ci siamo procurati un centralino virtuale attraverso il quale ricevere ed effettuare chiamate dai nostri smartphone personali utilizzando il numero aziendale e siamo riusciti perfettamente a lavorare come se fossimo presenti in ufficio, uno accanto all’altro.
La produttività non ne ha risentito (anzi!) e tutti siamo rimasti al sicuro.
Nel mio caso personale c’è di più: in una situazione nuova e particolare, sia per tutto il mondo che per me, grazie allo smart working ho potuto continuare a lavorare molto più di quanto avrei potuto fare se in presenza.
Come abbiamo gestito in azienda un periodo di maternità in un momento particolare come quello dell’ultimo anno?
In piena pandemia da Covid-19 ed in gravidanza, molto probabilmente, per sicurezza, avrei dovuto restare a casa da lavoro onde evitare il rischio di contagio. Grazie al lavoro da remoto così non è stato ed ho continuato a lavorare; non solo, essendo perfettamente in salute ed in forze, ho potuto usufruire dell’opportunità di legge di lavorare oltre il 7 mese, fino al termine della gravidanza.
È stato infatti introdotto da alcuni anni il congedo di maternità flessibile che prevede la possibilità di lavorare fino al nono mese di gravidanza, così da sfruttare il congedo di maternità obbligatorio di cinque mesi esclusivamente dopo il parto.
Non è una decisione presa in autonomia dal dipendente e dal datore di lavoro, ma è necessario che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale ed il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, se presente, rilascino un certificato che attesta che il proseguimento dell’attività lavorativa oltre il settimo mese di gravidanza non pone a rischio la salute della gestante e del nascituro.
Nel mio caso, in considerazione del periodo, il medico ha caldamente consigliato lo smart working. Perciò, e tenendo presente che si può rinunciare in qualsiasi momento alla maternità flessibile, attivando la maternità obbligatoria qualora mutassero le condizioni di salute o dell’ambiente di lavoro, ero serena di provare a continuare a lavorare e smettere se non me la fossi più sentita.
Se avessi dovuto andare in ufficio probabilmente non sarebbe stato possibile: era luglio, il caldo, il traffico, la schiena che fa male, la stanchezza, lo spostamento e le 8 ore in ufficio forse non le avrei sopportate. Lavorando da casa ho tolto il tempo e la fatica dello spostamento, ho potuto gestire più autonomamente orario di lavoro, pause, postazione.
In questo modo ho lavorato fino al giorno precedente il parto.
Per me è stata un’opportunità importante poter conservare tutta la maternità da utilizzare post-parto; lo stesso vale per il datore di lavoro che non ha dovuto rinunciare ad un membro del team in un periodo complesso come quello della scorsa primavera/estate.
Ho fatto quindi 5 mesi di maternità dopo la nascita di mio figlio, ho poi utilizzato ferie per allungare di un altro mese, avendo un certo numero di ferie accumulate dall’anno precedente. Poi ho dovuto decidere se prolungare il periodo di congedo usufruendo della maternità facoltativa o se rientrare al lavoro con la riduzione oraria per allattamento, quindi 6 ore invece che 8 al giorno.
Fino al primo anno di vita del bambino infatti si ha diritto a due ore al giorno di riposo per allattamento, se l’orario di lavoro è di almeno sei ore giornaliere, e a un’ora, se l’orario è inferiore a sei.
Anche in questo caso se avessi dovuto andare in ufficio forse avrei dovuto prolungare la mia assenza: il bimbo era abituato a stare sempre con me, lo spostamento in ufficio avrebbe significato più ore di mia assenza, nonché in questo periodo particolare un rischio di salute per me, il mio compagno, il bambino e soprattutto le nonne che se ne occupano mentre io lavoro e che, per età, rientrano nelle categorie delle persone più a rischio per le quali è richiesta una cautela maggiore.
Perché ho potuto scegliere di rientrare a lavoro? Perché lavorando da casa sono “assente” solo per 6 ore e comunque vicina al bambino per qualunque necessità, soprattutto nel primo periodo in cui si deve abituare alla mia assenza. Perché in questo modo non aumenta il rischio per me di entrare in contatto con persone positive al Covid-19 e di “portarlo a casa”, mettendo in pericolo i miei famigliari. Perché lavoro in un’azienda flessibile che mi permette di organizzare l’orario di lavoro secondo le mie esigenze, senza dovermi preoccupare se una mattina il bimbo fa qualche capriccio in più e mi costringe ad iniziare a lavorare una mezz’ora dopo; magari il pomeriggio successivo c’è una riunione che dura più del previsto, ma non sarà un problema per me partecipare perché, finita la riunione, chiudo il pc, esco dalla stanza e sono già a casa.
Anche per il datore di lavoro questo è un vantaggio semplicemente perché si è ridotto il mio periodo di assenza e sono tornata produttiva più rapidamente.
Ho voluto raccontare un’esperienza personale perché è un esempio positivo di come lo smart working, se ben strutturato, sia senza ombra di dubbio una modalità di lavoro vantaggiosa per tutte le parti coinvolte, dal singolo dipendente al management aziendale. Troppo spesso vi sono ancora delle resistenze al lavoro da remoto e, ancor più di frequente la maternità viene vista come un ostacolo al lavoro. Non deve essere per forza così, trovare un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata a volte è molto più semplice di quello che si è portati a credere.