Un’indagine sulla “Digital Transformation” portata avanti da Impresa Digitale su 500 aziende italiane, di cui il 68% di piccole e il 30% di medie dimensioni, rivela che chi le gestisce è consapevole dei benefici della digitalizzazione dei processi, eppure non investe in ICT.
Non è quindi un caso che i dati relativi all’attenzione verso le tecnologie digitali siano notevolmente più alti di quelli relativi all’effettiva adozione.
Le spiegazioni sono molteplici: alla base vi è la paura di non avere le competenze e gli strumenti per valutare le tecnologie più adeguate al proprio business, che si unisce ad un rischio molto alto degli investimenti in ICT percepito sia dai manager, sia dalle banche e dagli investitori. A questi si aggiunge la consapevolezza che esiste un forte gap di competenze interne: chi è particolarmente avvezzo, non solo per lavoro ma anche per interesse personale, all’utilizzo di tecnologie innovative e chi invece rifiuta tutto ciò che pare più moderno di una macchina da scrivere.
Ne deriva che le imprese italiane finora hanno investito in buon numero solo nella prima fase della digitalizzazione, quella dell’automazione e della dematerializzazione: finora sono state digitalizzate soprattutto le funzioni amministrative e gestionali (53% del campione), mentre tutte le altre hanno percentuali molto più basse, così come la fruizione via Mobile dei principali processi aziendali.
Manca un salto culturale, quello che richiede di saper valutare e introdurre applicazioni che cambiano completamente processi, organigrammi, ruoli e modalità di interazione con dipendenti e clienti.
A conferma di tale tesi, ci viene incontro un’ulteriore ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, che ha coinvolto 101 direttori delle risorse umane di aziende medio-grandi.
Attraverso questa analisi è stato rilevato che nelle aziende italiane la direzione Risorse Umane si sta attrezzando per gestire il cambiamento, ma il 42% delle persone è ancora impiegato su attività amministrative e solamente l’8% fa uso avanzato delle tecnologie emergenti.
La principale sfida che si presenta quindi alle aziende italiane è proprio il change management, ossia la gestione della riorganizzazione aziendale e lo sviluppo dei talenti. Questo implica una ridefinizione di ruoli e competenze all’interno della divisione HR, in cui le tecnologie digitali svolgono un ruolo di primo piano, anche se con impatti diversi a seconda delle aree.
Risulta che quasi un HR manager su tre riconosce la necessità di presidiare di più con sistemi informativi l’analisi delle metriche, il disegno organizzativo, la gestione della conoscenza e della collaborazione, la comunicazione interna e il clima aziendale. In particolare, i Social Network sono utilizzati per il recruiting dal 50% dei rispondenti, l’intranet per la comunicazione interna dal 37%.
Quanto alla BI, è lo strumento digitale che cresce di più nel breve periodo, in particolare nella valutazione delle performance, nel disegno organizzativo e gestione della workforce, e nella formazione.
La sfida di Cezanne è dimostrare che un sistema completo come Cezanne OnDemand può affiancare manager e dipendenti nel muoversi più agilmente nel mare dei cambiamenti; avere un prodotto che ti permette di gestire, da un unico punto di accesso, attività come gestione del personale, delle ferie, valutazione delle performance, self-service per i dipendenti e molto altro semplifica e snellisce i processi aziendali di gestione delle HR.
Far comprendere a tutti coloro che si occupano di risorse umane in azienda, che la tecnologia è per loro un supporto e non una complicazione, è uno degli obbiettivi di Cezanne HR; non a caso è proprio questo l’argomento che Carlo Ugdulena, amministratore delegato dell’azienda, sceglie di affrontare Giovedì al Convivio di Roma: “Come cambia il mondo del lavoro: nuove tendenze nelle tecnologie per i professionisti HR”.
Cosa ne pensate? I software HR vi stanno agevolando? In che modo?
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