Con la festa della mamma appena trascorsa (per i più sbadati, è stata domenica 12 maggio), vediamo spuntare ovunque  segni di apprezzamento per l’incredibile lavoro che ogni madre (e padre) fa con i figli.

Ma quanto è difficile conciliare la costruzione di una famiglia con la carriera lavorativa?

In questo post non vogliamo parlare di politiche a sostegno dei genitori, anche se molto ci sarebbe da dire, ma di come le aziende si approcciano alla neo-mamma che rientra in ufficio. Quasi in nessun caso viene messo in pratica un processo di re-inserimento. Questo porta a pensare che le organizzazioni non si curino efficacemente del ritorno di un collaboratore che è stato assente a lungo e che il management non sappia come muoversi per far sì che sia un rientro efficiente e sereno per tutti.

Un processo di Onboarding strutturato non va messo in atto solo nel momento dell’assunzione di un nuovo collaboratore, ma anche quando questo rientra da una lunga assenza, sia essa congedo di maternità, paternità, malattia… Ma le aziende se ne dimenticano! Questo significa che, una fetta consistente della forza lavoro, centinaia di collaboratori di talento, finiscono nel dimenticatoio a causa di una momentanea, e pienamente giustificata, assenza. In quest’ottica, un piano di reinserimento ben gestito, è fondamentale per la retention del talento in azienda.

Ma quindi perchè così tante organizzazioni faticano a reinserire efficacemente un neo-genitore?

In molti casi la risposta è semplice: le risorse umane tendono a focalizzarsi sull’onboarding dei neo-assunti, processo anche esso spesso mal gestito; manca l’utilizzo delle tecnologie a supporto che consentano una comunicazione più fluida tra candidato ed azienda, oltre ad una più semplice reperibilità dei dati e delle informazioni necessarie.

Ma il problema del re-inserimento non può essere ignorato.

Nel caso delle madri, da un’indagine Eurostat del 2017 risulta che il numero di donne lavoratrici è inversamente proporzionale al numero di figli: risulta un tasso di occupazione del 62,2% per le donne senza figli, tasso che scende al 58,4% per le donne con un figlio, fino ad arrivare al 41,4% nel caso di donne con tre e più figli. Nel resto d’Europa la media di madri lavoratrici (con un solo figlio) è del 72,5%. Secondo l’ispettorato del lavoro, nel corso del 2016, il 78% delle dimissioni volontarie ha riguardato donne con figli. È chiaro, la responsabilità non è solo dei datori di lavoro, ed anzi attribuibile soprattutto alle carenti politiche a sostegno delle famiglie, ma le aziende possono fare la loro parte.

Poco tempo fa, la sede inglese di Cezanne HR ha portato avanti una ricerca da cui è risultato che le spese aziendali in attività di Onboarding sono solo il 17% della spesa complessiva in attività di recruiting. Ma affannarsi ad individuare i talenti migliori sul mercato, se poi non si è in grado di inserirli all’interno dell’organizzazione proficuamente ed offrirgli delle valide ragioni per restare, altro non è che un investimento sprecato.

Se in azienda riconoscete l’esigenza di ottimizzare l’onboarding o il re-onboarding dei dipendenti, cominciate a migliorare la comunicazione tra manager e team ed all’interno dei team stessi, assicurandoti di includere tutta la forza lavoro aziendale, al di là di ruoli, sedi, anzianità… Subito dopo, verifica che la tecnologia in uso agevoli il processo, utilizzando un software HR che preveda funzionalità di gestione Onboarding che coprano i bisogni dell’organizzazione.

Da ultimo, se hai dimenticato un biglietto di auguri per la mamma, mandale almeno un messaggio!

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Martina Tattini